Non c’è più tempo per l’apparenza e per i proclami: cambiamo per cambiare e salvare la Terra!

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Il cambiamento climatico è realtà e, purtroppo, è destinato a continuare.

Le Canarie bruciano, la California brucia, sette degli stati “montani” degli USA bruciano, la Grecia brucia, il Portogallo brucia e l’Algeria brucia.

Tutto normale starete pensando: è estate, fa caldo, l’inciviltà e la piromania sono, purtroppo, fenomeni concreti e diffusi pertanto basta veramente poco affinchè si inneschi un incendio.

Tralasciando la “stagionalità” di questi fenomeni, la gravità di questi incendi si amplifica oltremodo se i due più grandi polmoni del nostro pianeta bruciano ininterrottamente da settimane: l’Amazzonia e la Siberia, produttori di oltre il 25% dell’ossigeno del pianeta.

Volete sapere un dato? Nello scorso mese di aprile, l’osservatorio di Mauna Loa (Hawaii), ha registrato una media mensile di CO2 (Anidride Carbonica) di 410 ppm, la più alta degli ultimi 800.000 anni (si è possibile farlo estraendo e analizzando le bolle d’aria intrappolate nei ghiacci in Groenlandia o Antartide). L’aspetto inquietante di tutto questo è che i valori registrati alle Hawaii non rispecchiano i livelli “locali” ma quelli medi di tutto il pianeta, infatti, nelle grandi città l’aria è molto più pensante e le concentrazioni di CO2 sono più alte, paradossalmente, all’interno delle nostre case.

Colpa degli incendi? Non solo.

Le nostre industrie non accennano minimamente a minimizzare gli impatti sull’ambiente, i condizionatori sono sempre più utilizzati, la deforestazione aumenta sempre di più per fare spazio all’agricoltura e i trasporti continuano a dipendere dall’utilizzo di combustibili fossili (prevalentemente petrolio).

Vi starete chiedendo “ma non basterebbe mettere un freno a tutto questo?”

Il mondo non si ferma, corre. Siamo sempre impegnati ad accrescere i volumi di produzione per soddisfare un desiderio di consumo sempre più esigente soprattutto nell’ambito del paradigma energetico-economico, arrecando danni enormi al nostro ecosistema.

Mentre in Europa (Italia, Spagna e Francia su tutti) siamo alle prese con un’estate caldissima, India, Pakistan, Nepal, Sierra Leone e Nigeria sono sott’acqua a causa di fenomeni metereologici estremi come monsoni e inondazioni.

E se non bastasse tutto questo, anche la crosta terrestre ha “cambiato marcia” muovendosi molto più frequentemente: il vulcano Yellowstone ha registrato 2300 movimenti da giugno, l’Idaho, il Cile e il Giappone sono stati colpiti da terremoti superiori al 5° grado, il Messico, negli ultimi mesi, ha letteralmente ballato con due sismi di 7.1 e 8.2 gradi.

Negli ultimi anni, la violenza dei fenomeni metereologici ha subito un’impennata nettissima, basti pensare all’intensità degli uragani sull’Atlantico o, senza andare troppo lontano, alle “bombe d’acqua” sempre più frequenti in Italia.

A peggiorare tutto questo ci siamo noi esseri umani che, contrariamente a quello che dovremmo fare, continuiamo a mettere alla prova il nostro pianeta.

La continua ricerca di nuove tecnologie, in ogni campo, non si cura affatto di quello che l’ecosistema terreste potrebbe riuscire a sopportare in questo momento di grande instabilità: nel giorno di Ferragosto, mentre noi ci godevamo la festività con le nostre famiglie, non lontano dal porto di Severodvinsk, nel nord della Russia, cinque specialisti della Rosatom (la società statale russa per l’energia atomica) sono rimasti uccisi in un’esplosione.

Secondo le dichiarazioni ufficiali, gli scienziati sarebbero morti in seguito ad un esperimento su un sistema di propulsione liquido con isotopi. Niente di preoccupante o allarmante secondo il governo russo, ma nei giorni scorsi la Norvegia ha reso noto che al confine con la Russia sono stati rivelati livelli di Iodio radioattivo molto superiori alla media, alcuni media parlano anche di valori 16 volte superiori alla soglia massima.

L’impatto che Chernobyl ebbe negli anni a seguire su tutta l’area eurasiatica furono devastanti ma, nonostante questo, la sperimentazione nucleare non conosce rallenamenti.

Giustamente starete pensando che questo non dipende da noi, che non abbiamo colpe per questo tipo di eventi, ma siamo sicuri che noi, nel nostro piccolo, non facciamo anche di peggio?

5 bilioni di buste ogni anno, 25 milioni di tonnellate di rifiuti ogni mese, 1 milione di bottiglie ogni giorno. Questi sono i numeri pertinenti alla produzione e al nostro consumo della plastica, impressionanti se si pensa che più della metà della plastica prodotta è pensata per essere utilizzata una sola volta. Secondo un report della World Bank, nonostante i legislatori stiano cercando di ricorrere ai ripari approvando norme di contrasto al consumo della plastica, nei prossimi trent’anni la produzione di rifiuti di plastica crescerà del 70%!

Sulla superficie dei mari, sotto i ghiacciai, nelle falde acquifere, sul fondo degli abissi, sulle coste di isole remotissime e, persino, all’interno del nostro corpo, la plastica ormai è ovunque.

I dati parlano chiarissimo: a questi ritmi la concentrazione di CO2 supererà la soglia delle 500 ppm modificando definitivamente il sistema climatico rendendolo molto meno adatto all’esistenza degli esseri umani, i rifiuti di plastica in mare, invece, nel loro lunghissimo processo di decomposizione si frammentano i parti piccolissime (che possono misurare anche meno di 5 mm di diametro) finendo per essere scambiate per plancton o meduse portando oltre 115 specie di mammiferi ed anfibi a rischio estinzione ma, se non bastasse, il pesce fa parte della nostra dieta alimentare e i danni che la plastica arreca al nostro corpo non sono ancora chiarissimi, ma ci sono.

Urge instaurare a tutti i livelli e in tutti i settori un pensiero di azione a lungo termine, abbandonando il modello miope che contraddistingue i nostri sistemi economici, basati sulla crescita economica di breve periodo.

L’azione più importante, però, va fatta sulle nostre coscienze.

Non basta più un post sui social, non basta più un corteo o uno sciopero, servono azioni concrete, serve cambiare la nostra quotidianità, serve limitare i consumi al necessario, serve riacquistare le “vecchie buone” abitudini, serve sensibilizzare, informare e istruire le nuove generazioni (e non solo..).

E’ necessario fare qualcosa, di poco eclatante ma di grande impatto: correggiamo le nostre abitudini, modifichiamo la nostra quotidianità, cambiamo le nostre vite e salviamo la nostra casa.

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